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Home sweet Home non abita più qui - A.Galasso 

Pubblicato nel catalogo Zoom
Mostra personale Giancarla Zanutti Artecontemporanea_Milano 1999

C’è un senso di familiarità che ci accompagna ogni volta che camminiamo lungo la corsia di un supermercato, la sensazione che nasce dal riconoscere i prodotti che scandiscono i diversi momenti della nostra giornata. I biscotti preferiti della prima colazione, la marca di uno shampoo, il tipo di pasta che ci piace cotta al punto giusto. Il successo planetario di Mc Donald si basa sullo stesso principio di riconoscibilità. Che ci si trovi a Tokyo, Nairobi o Piazza di Spagna, scorgere da lontano una grande emme gialla ci fa sentire subito a casa, varcando la soglia del fast food sappiamo di non rischiare incognite ed imprevisti, mentre siamo pervasi da un sentimento di familiarità, soffice e rassicurante.

Ed è proprio questa dimensione domestica e quotidiana il terreno di ricerca prediletto da Antonio De Pascale, consapevole com’è che la normalità e la consuetudine spesso celano crimini efferati. Come nei racconti di Patricia Highsmith, dietro uno scenario apparentemente banale e quotidiano spesso si nasconde la follia che porta a compiere gesti criminali, dagli effetti tanto più dirompenti quanto imprevedibili ed insospettabili.

Facendo leva su questo meccanismo psicologico, le sue opere minano l’apparato semiologico dello spettatore. Alterando ora il packaging di un noto prodotto, ora l’immagine stessa con la quale siamo abituati ad identificarlo; l’artista smaschera aspetti imprevisti ed inquietanti di oggetti ed ambienti. Il “casa dolce casa” è solo un obsoleto ricordo dei bei tempi andati. Perché oramai non ci si può fidare di niente e di nessuno. La signora bionda che,  cucchiaio in mano, per anni, ci ha sorriso da una scatola di dadi è vittima di qualche alieno che tenta di strangolarla; la mucca inconsapevole che pascola nel prato, circondata dalle cime innevate che ornano la confezione di un panetto di burro, sarà il prossimo bersaglio di uno stormo di aerei militari pronti a scaricare il loro fuoco mortale; il mulino di noti biscotti, compagno di risvegli mattutini, è stato fatto saltare in aria. Anche le dimensioni subiscono una trasformazione, crescono a dismisura come nei film di fantascienza quando in seguito alla fuga di radiazioni nucleari, animali e cose sono soggetti ad inedite mutazioni. Le opere di Antonio De Pascale sono creature ipertrofiche , oggetti alterati che reclamano una nuova collocazione nel mondo.

Nelle opere fotografiche, spazi domestici lasciano intravvedere crepe e smottamenti, tracce che affiorano come ferite non cicratizzate. Sono un letto disfatto, ancora con segni della presenza umana, si spalanca un buco circondato da macerie, minaccia incombente che rischia di inghiottire (oppure l’ha già fatto?) chiunque si avvicini.

Se la Pop Art capovolse il classico principio dell’opera in quanto oggetto unico e irriproducibile a favore di un’arte seriale realizzata secondo i criteri dei prodotti di consumo, ora De Pascale chiude il cerchio; la meticolosità ossessiva con cui realizza i suoi “Packaging” è in antitesi con lo stesso principio fondante della produzione industriale che minimizza tempi e costi per moltiplicare all’infinito prodotti fra loro identici. E se la lattina di Campbell’s soup era l’anticipazione di un’era, immagine iconica , totem della futura civiltà dei consumi, il sacchetto di biscotti su cui è stato fatto esplodere il Mulino Bianco o la mano inguainata che stritola il bicchiere su una confezione di guanti da cucina, sono rappresentazioni iconoclaste, tentativo emblematico  di emancipazione dalla schiavitù degli oggetti, segno premonitore di un’epoca in cui (si spera) l’uomo si accinge a intraprendere un viaggio di carattere spirituale, lontano dalle cose, dentro se stesso.  
 


Home sweet Home doesn’t live here any longer - A.Galasso

Published in the catalog Zoom 
Solo show at Giancarla Zanutti Artecontemporanea_Milano 1999

There is a feeling of homeliness that accompanies us each time we stroll down the aisle of a supermarket. The feeling that comes from recognizing some of the products that mark different moments of our days: our favorite breakfast cookies, the brand of a shampoo, a pasta that we enjoy cooked to perfection. Mc Donald’s global success is based upon the same principle of identification. Whether we are in Tokyo, Nairobi of  Piazza di  Spagna in Rome, to spot the big yellow M makes us immediately  feel a little at home. When we enter a fast food restaurant we already know that we do not risk any surprise or unknown factor while we feel pervaded by ahomely feeling, soft and reassuring.

This is De Pascale’s favorite fiel of exploration. The artist aware that some of the most violent crimes hide behind normality. As in Patricia Hightsmith’s novels, where, behind a completely obvious and ordinary scenario, there often hides madness which leads to the most criminal acts, whose effects become more distruptive, the more they are unforeseeable and unexpected. 

By exploiting this psycological pattern the works by Antonio De Pascale undermine the spectator’s semiological vocabulary. By altering once the packing of a well-know brand and other times the image we usually identify the product with, the artist unveils unexpected alarming aspects of daily objects and environments. “Home sweet home” is only an obsolete souvenir of the good old times, since today you cannot trust anything and anybody anymore. The blond woman, with a spoon in her hand, that for years has been smiling from a box of bouillon cubes is being attacked by a werewolf that is about to strangle her. Grazing cows in a field surrounded by snow topped mountains, which decorate the paper of a roll of butter are thenext target of military planes ready to shoot their deadly fire, while the white mill, on the bag of a well-know cookie brand, companion of morning wake-ups has exploded in the air.

In this photographs, domestic spaces let the spectator see cracks and landslides, traces that appear like unhealed scares. From underneath an unmade bed there is a hole surrounded by ruins, like a threatening presence that is ready to swallow (or maybe it already has)  anyone who gets too close.

The artist doesn’t only alter the images but size is submitted to change, too in order to create hypertrophic objects. Like in science fiction movies where after a leak of atomic radiation, animals and objects mutate, the works by Antonio De Pascale are altered creatures, which have grown too much, objects that have gone mad and that now claim a new role in the world.

If  Pop Art turned upside down the classic principle of the work of art as unique and irreproducible, now De Pascale has closed the circle while giving to these products the status of art, all strictly hand-made and produced in one sample. The obsessive meticulousness with which the artists creates his “packagings” is in complete antithesis with the fundamental rule of industial production that aims to minimize time and costs and to endlessly multiply goods which are identical. 

Howerer, if the Campbell’s soup tin was an anticipation of an era, both icon and totem of the consumer’s society, the cookie bag with the exploded withe mill or, the woman whose sheathed hand publicizes a brand of gloves, tired of washing dirty dishes is crashing a glass, is an iconoclast representation, an emblematic attempt to emancipate man from the slavery of the object, a forewarning sign of a time where (one hopes) man is geting ready to start a spiritual journey far from the objects and inside himself.